Il quinto postulato degli Elementi di Euclide

Negli Elementi di Euclide, che per circa due millenni nell’ambito della geometria è stato il testo più atorevole, la geometria è sviluppata come un sistema assiomatico non formale.

Gli enti primitivi sono quelli dettati dell’intuizione dello spazio ideale, ossia il punto, la retta e il piano. Sono dati, inoltre, cinque postulati, di cui il quinto, noto come postulato delle parallele, recita:

Se una retta, incontrandone altre due, forma gli angoli interni da una stessa parte minori di due retti, le due rette prolungate all’infinito si incontrano dalla parte in cui sono i due angoli minori di due retti.

Nella definizione 23 del libro I, Euclide definisce poi parallele due rette che, se prolungate indefinitamente in entrambe le direzioni, non si incontrano. Si può quindi dimostrare che il quinto postulato è equivalente alla seguente proposizione:

Dati, in un piano, una retta e un punto esterno ad essa, esiste una e una sola retta, in quel piano, parallela a quella retta e passante per quel punto.

Per motivi non ben identificati, si era sviluppato sin dall’antichità il presentimento che questo postulato fosse sovrabbondante (ossia che fosse dimostrabile a partire dagli altri quattro, perciò non necessario per la deduzione completa della geometria e dunque eliminabile), o comunque poco evidente nella forma in cui era stato dato da Euclide.

Vi furono dunque vari tentativi di dimostrazione o ”correzione”. I tentativi di sistemazione del quinto postulato possono sostanzialmente farsi rientrare in uno dei seguenti tre tipi, non necessariamente escludentisi fra loro:

  1. assunzione di una definizione di rette parallele diversa da quella euclidea;
  2. sostituzione del quinto postulato con un’altra proposizione più intuitiva, ossia la cui verità risultasse più evidente, e quindi di più facile accettazione;
  3. dimostrazione del postulato come teorema, deducendolo dai quattro postulati rimanenti.

Lobačevskij, Bolyai e Riemann

Indipendentemente l’uno dall’altro, Nikolaj Ivanovič Lobačevskij nel 1829 e János Bolyai nel 1832 ebbero l’idea di sviluppare una nuova geometria in cui non fosse valido il quinto postulato.

Essi sostituirono il quinto postulato con l’assunzione che per un punto esterno a una retta data si potessero tracciare infinite parallele ad essa. Lobačevskij e Bolyai diedero vita a una geometria, oggi detta geometria iperbolica, la quale, pur andando evidentemente contro le intuizioni dello spazio ordinario (euclideo, appunto), non presenta contraddizioni logiche, a meno che non ve ne siano in quella euclidea.

Georg Friedrich Bernhard Riemann (1826-1866), successivamente, sviluppò un altro tipo di geometria, sostituendo il quinto postulato con l’assunzione che per un punto esterno a una retta data non passi alcuna parallela a tale retta. Da qui si sviluppò la cosiddetta geometria ellittica.

Il fatto che possano non presentarsi contraddizioni logiche se, in un sistema assiomatico (seppur originariamente non formale) ben funzionante (nella fattispecie quello euclideo), si modificano uno o più assiomi, a quel tempo, quando non erano ancora stati studiati i sistemi assiomatici, era abbastanza sconvolgente.

Si fece quindi un grosso passo verso la generalizzazione della geometria e, conseguentemente, verso il progressivo abbandono dell’intuizione spaziale, che, come detto in precedenza, costituiva uno dei due pilastri su cui poggiava l’intero edificio della matematica.

Le conseguenze delle geometrie non euclidee

Cercando di schematizzare, potremmo affermare che la messa in discussione dell’intuizione kantiana divise i matematici in due partiti opposti che potremmo definire il partito conservatore e il partito progressista.

I conservatori ritenevano che le geometrie non euclidee potessero essere soltanto un ottimo strumento per la matematica, ma che non intaccassero minimamente l’unicità dello spazio euclideo come intuizione pura della mente; difendevano dunque la filosofia matematica classica.